Si arriva a Liberi…e si riparte da Liberi. O da Dragoni. È lo stesso. La linea di confine passa tra la casa e l’azienda vinicola. E si viaggia respirando paesaggio. Querce. Acacie. Pini. Ranuncoli ritardatari ondeggianti sui cigli. Tra il tarassaco e i fiori di cicoria. E gli scarichi dei tubi di scappamento. Come a percepire il bisbiglio di un dialogo tra i grandi e i piccoli. Laggiù i vitigni arrossati distesi come macchie più dense. Qualche casa sparsa. Un filo di fumo che sale. I pali della luce. I boschi di robinie e tigli selvatici. Si sobbalza sull’asfalto grattato e rumoroso. Un cane nero attraversa la strada. Ci sono i camion. Ma c’è la sensazione rassicurante che il fogliame inghiotta rumori e pericoli. E ogni incongruenza. Persino ogni vita randagia. Così si procede nel nulla. Che è un tutto unitario. Quello che conta. I colori. Il verde è infinito. Neanche un pezzo è uguale all’altro. I rossi e i gialli si completano. Il vento agita le cime. E la salvia purpurea, quella dei boschi. Lievemente o con furia. Il cielo poi. Si infila tra le foglie come una colata liquida. Ed è sopra ogni cosa. Annuvolato. O azzurro. O pallido. Succede così. Che tutto il paesaggio smette di essere una cosa separata da te. Non lo guardi più. Né lo attraversi. Ma lo senti. Con i pori e le fibre. E ne risuoni. Sai che si conquista se stessi. Un patto a più voci. Per la narrazione di un nuovo stato.
foto © Luigi Spina