The big sky è un grande libro e A.B. Guthrie un grande scrittore, punto.
Boone il protagonista è un ragazzo che dopo una lite crede di aver ucciso il padre violento e decide di mettersi in viaggio. Questo decide in fondo. La storia che vuole raggiungere lo zio cacciatore è una balla. Boone è l’archetipo del Dean Moriarty di On the road. Il grande cielo è del 1947. Il libro di Kerouac del 1957.
Boone diventa indiano. Sposa un’indiana. Caccia i bisonti. Si batte con altri bianchi. Viaggia su fiumi in piena e lungo i canyon. Cresce e diventa uomo. Un uomo di poche parole ma granitico come scisto. Guidato da sentimenti lineari e potenti. Che non permettono tentennamenti. Non sa cosa è il sentimentalismo. Ha due grandi amici, Jim Deakins e Dick Summers. Boone alla fine uccide Jim perché crede che gli abbia insidiato Teal Eye. Non è vero e Boone vivrà con questo rimorso. Ma Boone Caudill è uno dei grandi personaggi della letteratura. Almeno di quelli che io ho incontrato. E sa portare il rimorso. Da uomo forte. Forte come un albero. Forte come una montagna. Come un fiume. Come il ghiaccio, il freddo, il vento. Come il dolore della fame e delle ferite. Come quella natura potente che attraversa e che fa descrivere allo scrittore. Senza il suo passaggio non ci sarebbe natura. Boone lo sa e si rimette in viaggio ogni volta. Anche quando gli occhi teneri di Tael Eye gli dicono di restare. Solo gli occhi perché la donna sa che le parole sono inutili.
Ho letto che c’è un film tratto dal libro. Con Kirk Douglas nel ruolo di Jim Deakins e Dewey Martin in quello di Boone. Non riesco a immaginare Boone con il viso di nessun attore. Per me Boone ha il viso di quello che un uomo (io) vorrebbe essere. Oh, non nella storia. Ma nella capacità di tenere una rotta dritto come una spada. Quindi un archetipo. Il significato stesso della libertà. E del libero arbitrio.
Dice Guthrie: “Scrivere per me è sempre stato lento e doloroso e senza ricompense immediate”.