David Benioff è l’autore de La venticinquesima ora ma anche questo La città dei ladri è un signor libro.
Siamo nel 1941 in una Leningrado sotto assedio. Popolata da disperati che muoiono di fame. Ci sono i cannibali (come ne La strada di Cormac McCarthy) e gente pronta ad uccidere per una cipolla. Ma c’è la figlia di un colonnello dal collo taurino che pattina sulla Neva ghiacciata e ha bisogno di dodici uova per la sua torta nuziale. Così i disertori Lev (il nonno di Benioff) e Kolija devono trovare queste uova se non vogliono essere giustiziati.
Lev e Kolija sono uno l’opposto dell’altro. E diventeranno inevitabilmente amici. Uno il migliore amico dell’altro. È una storia di iniziazione. Di solidarietà. Di dolore e ferocia. Ma anche di amore e generosità. E libertà. E come Eurialo e Niso di grande amicizia. Tutto il campionario di sentimenti si dispiega lungo una storia incalzante. Paesaggi estremi. Dialoghi serrati. Vicende strazianti. O grottesche. David Benioff è un grande scrittore.
Lev è figlio di un poeta scomodo al regime. Kolija sogna di scrivere un grande romanzo. La letteratura è l’altro grande protagonista. C’è una specie di orgoglio per la grande tradizione del romanzo russo. Da Tolstoj a Dostoevskij a Turgenev. E per la poesia. Majakovskij e Achmatova. Inteso come un proprio personale patrimonio. Da custodire. Ognuno per quello che può. Difronte al quale essere degni.
Penso alla considerazione che NOI abbiamo dei nostri autori. O dei nostri musicisti. O architetti. E viene da piangere.