Questo è un grande libro. Kent Haruf va a braccetto con Cormac McCarthy e Richard Ford. Per dire a che livello scrive. Da Dio, insomma.
Dad Lewis è una figura rispettata nella piccola città di Holt. E sta morendo. La moglie e la figlia gli sono vicini. Gli amici vanno e vengono dalla sua casa. Una bambina va in bicicletta sotto il suo sguardo dalla finestra vicina. Il reverendo predica e passa a trovarlo.
Ma ognuno ha un qualche fantasma con cui fare i conti. Dad per primo. Il figlio omosessuale è andato via di casa e non da sue notizie. Il suo commesso (Dad ha un negozio di ferramenta) si è ucciso dopo che lui lo ha beccato a rubare.
Sono le relazioni umane. Le scelte estreme. Il coraggio e il non coraggio. E la vergogna. Dad non è l’unico che deve fare i conti con tutto questo. È come se in questa cittadina (così simile alle nostre realtà provinciali) l’attitudine ad ignorare ogni difformità rispetto all’onda del perbenismo comune fosse arrivato il momento della resa dei conti. Niente può essere più sottaciuto. Ma la voce di Kent Haruf è sempre bisbigliata. Per questo non ha bisogno di molte parole. La narrazione va avanti per immagini scabre. Dialoghi secchi. Scarnificati. I sentimenti sono elementari. Perciò solidi e senza retropensieri. Le tragedie sono solo evocate. E non c’è bisogno che accadano fatti eclatanti (quando la bambina si allontana in bicicletta e non si trova più ti aspetti il peggio e invece riappare). È sufficiente la quotidianità.
Tutto molto vicino alla poesia.