il percorso dell’erba

[Sono] Un piccolo foro nell’asfalto. Quanto una moneta. Preciso. Il trifoglio viene dalle radici profonde e poggia le sue piccole braccia oltre il bordo. Come uno che si affacci a un davanzale. Che non sai se stia a guardare il mondo (oh, quello vasto lì fuori) o non sia lui stesso tutto un mondo che vuole essere osservato. Dici tutto il mondo? La promessa di tutto il mondo possibile. Una sola certezza: nulla è fuori da sé. Nulla esiste fuori da te. Roba minuta come si vede. Ma ha la forza di attirare l’attenzione. Sono solo uno sporadico passante. Altri distratti vanno oltre. Molti sorvolano il mare. Ma io ho visto. Per un secondo o due il vortice ha taciuto e gli occhi hanno potuto mettere a fuoco. È la voce di tutte le erbe solitarie che cercano un varco. Indifese. E così, sono sicuro, sente che ne vale la pena.

trifoglio 1

[Sono] Poi la piantina solitaria. All’attaccatura del pavimento con il cemento. Rappezzo dietro rappezzo. Nata nelle sfrangiature della materia. Tra le foglie secche cadute dall’albicocco, due o tre tardive arance scoppiate in terra e qualche sterpo. Al centro di un varco. Le formiche avanzano in processione intorno allo stelo. Poi scartano dalla fila. Come impazzite. Seguono percorsi che non sai. Ma il lavoro è incessante e questo capisci che è l’unica cosa che conti. Un venticello lieve smuove le piccole foglie come un uragano. Più in là nella terra tra le campanule e la sanguinella, un ciuffo di mazze d’oro. Nel posto giusto. Povera illusione. Basta uno scarto di luce, un punto di vista appena spostato e ti chiedi: cosa ci faccio qui? Vale per tutti. E ogni minuzzolo è tutti. Il cielo è scolorato nell’imminenza del nulla. Pare che voglia succhiare un po’ di colore dalla carne delle foglie tremolanti. Il movimento non scalfisce l’immobilità dell’ora.

erba solitaria 1tubo 1

Il canale esce dal gabinetto e scende lungo la parete. La pittura si è ridotta a frammenti come croste. Così succede sulla plastica. Da qualche parte ho visto canali di terracotta scendere su muri dorati, bellissimi. Ma è un’altra storia. Al piede un lacerto di cemento ricoperto di una peluria verde. In cima l’innesto obliquo di un tubo che viene dalla cucina. E proprio dove si incontrano cresce una piantina con un pomodoro rosso e bello. Un seme portato dallo scarico ha trovato una strada e fatto l’opera. In pieno sole. [Sono] Un bioccolo rosso. Così da sembrare dipinto. Una presenza impropria come in certe pitture di Baselitz. Quasi una punta di superiorità verso le piantine sparute che spuntano senza colore tra le riggiole del cortile.
E vibra quando il vento si rafforza. O quando dalla casa tirano lo sciacquone.

 

La piazza si trasforma. Controluce. In fuga. Sotto una leggera coltre bianchiccia di umidità i fili d’erba nati negli interstizi del basolato si fondono in una distesa di peluria verde. Un verde carnoso. Denso. Continuo. Mille e mille fili uniti in un’unica visione. [Divento] Un prato diresti. Acceso dal sole che fa riflettere le gocce d’acqua disseminate. Fino ai piedi dei palazzi di piperno. Delle colonne che si elevano dai gradoni di travertino. Del basamento della statua equestre. Dolce e rassicurante.

 
Ogni cosa si espande. La nuvola diventa coltre. La piazza rabbuia. I lunghi filari di zanelle pieni d’acqua hanno perso il sole e sono solchi nelle campagne. Uomini del colore di torba avanzano con passo inestinguibile nei tagli acquitrinosi della terra. Uomini di legno neri come la penitenza.

 
La brezza, uragano. Oh questo vento famelico, disegna figure nella scura marea dei pini e svaniscono inconosciute. Piega la testa spaurita dei teneri oleandri. Si smembrano le foglie delle acacie in mille vetrini spenti e voci turbinano inquiete.

 
L’imbrunire, notte che avvolge ogni respiro. Sì, ogni cosa si espande. Inevitabilmente. Ma non puoi sapere fin dove. Sono le conseguenza delle azioni. Ma che importa. Stiamo parlando di uomini, si capisce. Metti da parte l’inutile aspettativa della vita. Ci si può sentire sempre parte del movimento. Nessuno si accorge se sei vivo o morto. Lo sai. Ma resti sul pezzo. Sei tu l’artefice della narrazione. Per un minuto o per una vita intera. Poi si vede.

E nell’istante stesso che svanisce l’effetto come l’enigma di una nenia, la città grigia riprende possesso della realtà. Ma tardiva è la tua rivincita.

 

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