Ringrazio Davide Vargas per avere accettato il nostro invito a presentarci “Opere e Omissioni”, il suo ultimo libro edito da letteraVentidue e a illustrare il suo lavoro ai nostri studenti.
Davide è sempre disponibile verso la nostra facoltà di architettura che è poi in definitiva la facoltà di architettura della sua terra, anche se la sua formazione, come quella di molti di noi, è avvenuta altrove, molto prima della creazione della sede di Aversa.
Ha già partecipato al nostro workshop del 5° anno, lavorando al tema di punta Massullo, villa Malaparte, a settembre.
Quando sapemmo che avrebbe presentato il suo ultimo libro presso la facoltà di Architettura di Napoli percepimmo il fatto come una sorta di torto; un torto che noi facevamo a lui per non averlo ancora invitato ed ai nostri studenti a cui avevamo sottratto il diritto di essere i primi ad ascoltare l’ultimo lavoro di un loro bravo conterraneo. Occorreva quindi invitarlo subito a presentare questa sua ultima fatica, che poi in qualche modo è una sorta di summa dei suoi precedenti lavori, perché raccoglie, contrassegna e testimonia gran parte se non tutto il suo percorso di architetto e scrittore.
Davide per come ci appare rappresenta una figura interessante per le nostre discipline progettuali, quella di un architetto “completo”. Per architetto completo non si intende l’abusata figura retorica del Muratore che sa di Latino, che originariamente nella riflessione di Leon Battista Alberti aveva una sua ragione d’essere, ma è qualcosa di più, qualcosa di diverso. La completezza di Davide sta nel fatto che lui è molte figure insieme: è un architetto operante, militante, è uno studioso attento, che riflette, indaga e trova risposte attraverso strumenti di ricerca colti e differenti, attraverso lo schizzo, il disegno e la scrittura, progettando testi e architetture; fa cioè tutto quello che un architetto dovrebbe fare dando una lettura più ampia delle cose che non sembra legata solo al mondo dell’architettura.
E questa modalità “particolare” di studioso e scrittore di architettura è chiarita molto bene da ciò che scrive Gianni Biondillo nella recensione al suo libro “Racconti di Architettura”: “un libro non rivolto agli architetti ma un libro rivolto a tutti quelli che hanno voglia di conoscere il mondo attraverso uno sguardo parziale. È, cioè, una piccola, aggraziata, guida sentimentale del mondo”.
E quindi riferimenti diretti e indiretti alla poesia e alla poetica che sono due termini legati alla sintesi del pensiero ed alla sua realizzazione nella realtà (sia della scrittura che di progetti di architettura, che senza poetica sarebbero noiosamente simili e uguali).
Il lavoro di Davide è completo quindi perché è costituito da scritti, da disegni molto belli, e dalla saggia e continua interazione tra scrittura e disegno, attività che si intrecciano continuamente in un singolare e moderno artificio narrativo volto a descrivere un mondo dell’architettura che non è solo quello della città o delle architetture da realizzare ma anche e soprattutto del nostro paesaggio.
Scorrendo il volume Opere ed Omissioni mi ha colpito il ricordo e la pagina dedicata ad un simpatico professore di università (che è il nostro compianto Emanuele) che gli aveva chiesto di condurre gli studenti a vedere la sua casa a righe, e poi in “Racconti di qui“ la dedica “alla mia terra”, la nostra terra, che è la meravigliosa terra delle vite maritata -disegnata mirabilmente a più riprese-; una terra che “offre continui spunti di dolore e di amore”, un paesaggio fatto di “piante, di essenze, dell’odore della pietra, di dettagli di cose minute di conoscenza e di un paesaggio che richiede cura” dove il tema della cura è scritto con un semplice e silenzioso grassetto sul fondo della pagina come una sorta di coraggioso invito; e poi il riferimento alla “città della poesia” dove la poesia è una forza che tiene “dentro il passato, il presente ed il futuro”, e “i racconti di architettura” in cui Davide, torna a “dipingere con parole e pennellate di caffè” (in una modalità “completa” e cioè il dipingere con parole e pennellate e lo scrivere con disegni e parole) lo spazio urbano alla ricerca del segno smarrito dei percorsi e dell’architettura e della propria formazione (e qui c’è molta Napoli), fino al libro “Alberi” e alla infinita e bellissima serie di paesaggi e piante disegnati con la sapienza e la capacità di osservazione e di analisi di un botanico alla Linneo; ne ho contati più di cento ma mi pare siano più del doppio, non vorrei sbagliarmi .
Ho parlato poco di architetture perchè di queste ci parlerà lui stesso ma voglio chiudere con la descrizione che lui fa della sua singolare attività, della sua poetica, in “Opere ed omissioni”:
“Credo che ognuno abbia la tensione ad alimentare la propria mitologia personale. Innestando immagini e tessere del personalissimo affresco. Ognuno ha tensione a costruire la realtà. Un pezzo. Progettando. Scrivendo. E ricominciando a scrivere e progettare, ( e qui c’è tutto il processo circolare del progetto), Annullando la divaricazione tra i linguaggi. In pratica facendo sempre la stessa cosa.”