Juan Gabriel Vasquez è uno scrittore colombiano e si sente addosso tutta l’eredità della violenza che ha attraversato la sua terra. Non quella recente dei narcotrafficanti ma quella che parte dall’uccisione del senatore liberale Rafael Uribe Uribe nel 1914 fino all’omicidio di un altro padre della patria Jorge Eliécer Gaitàn nel 1948. E cosa lega questo omicidio a quello di Kennedy a Dallas?
E cosa lega tutto questo a noi? Bella domanda.
Mi viene in Mente Pasolini quando il 14 novembre del 74 scrive: Io so. Io so i nomi dei responsabili…
Juan Gabriel Vasquez scrive in prima persona. E in una vicenda che si trasforma in una investigazione lungo tempi diversi tocca con mano e soffre come se ne fosse coinvolto intimamente gli omicidi illustri, i depistaggi, le indagini insabbiate, le verità così vicine e poi misteriosamente svanite. Ma incontra anche eroi anonimi e testardi che non rinunciano a cercare di disvelare la gigantesca menzogna. Lui stesso diventa indagatore tenace tra le rovine lasciate sul campo e mette in gioco il proprio imperativo morale di narrare (che altro si può fare?) la storia della Colombia come la scena di un unico continuo delitto.
Alla fine c’è una verità senza prove. Ed una costante della storia di ogni paese, Kennedy in America come le stragi qui da noi. La forma delle rovine coinvolge per la scrittura serrata, i salti temporali, l’accanimento dei personaggi. Ma c’è qualcosa in più. Siamo tutti, lo scrittore e noi lettori, immersi nella trama nota della lotta tra il potere e il bisogno a tutti i costi di verità. E giustizia.
Si può morire per una VERITA’ senza prove.