Luca Galofaro ha scritto (scritto?, diciamo costruito) un libro di immagini. E poi è venuto a parlarne al Dipartimento di Architettura Luigi Vanvitelli ad Aversa. Tutto quello che già era chiaro nel libro è diventato ancora più chiaro a sentirne parlare lui stesso. Che ha una grande ossessione. Luca raccoglie frammenti e li mette dentro composizioni di varia tecnica. Li raccoglie ovunque, sulle bancarelle delle cose usate (vecchie riviste, cartoline, fotografie), tra le pagine delle vagonate di libri che legge e nella cantina di casa. E ancora tra le figure della propria mitologia personale, dalla stagione delle conquiste spaziali (che ho vissuto anche io, da ragazzino conoscevo gli equipaggi a memoria come se fossero state formazioni di squadre di calcio) ai pezzi di paesaggio intatti o vituperati, dalle icone dell’architettura a quelle del cinema, un certo cinema. E del calcio, un unico calcio. Allora io mi immagino una persona sempre vigile, con le antenne allertate e i pori aperti, che attraversa luoghi e anfratti e guarda. Oh, non come si fa normalmente ma come fanno tutti quelli che stanno nel mondo cercando di attribuirvi un senso. Quelli che hanno il proprio bastone da rabdomante e scostano i veli davanti alle cose. Così GUARDANO e VEDONO. Perché hanno un progetto nella testa. Un unico progetto che si declina in una serie infinita di tasselli. Il progetto è una VISIONE (del mondo). An ATLAS of Imagination è, e si vede benissimo, un libro di un ARCHITETTO.
Ogni immagine è accompagnata da una citazione. Roba seria: Kubrik, Guy Debord, Reyner Banham, Andrea Branzi… Infine, Luca è mio amico. Nella mia privatissima galleria c’è un suo lavoro, quello di pagina 43, The ring.