Carmen Pellegrino ha scritto un libro sulla natura, i luoghi che degradano, le anime delle persone che seguono la stessa sorte. I borghi franano e le persone vanno in disfacimento con il carico completo della propria dimensione ancestrale. Tanto che non sai se sono vivi o morti. Ma non importa. Non c’è differenza. E non conta nemmeno che siano solo e sempre dei vinti. Ma c’è un demiurgo. È Estella che tira le file della narrazione. Che suscita la dignità e la vita. Che riunisce le esperienze più estreme e lontane. Ha una storia Estella. Tormentata. Difficile. Può capire. E prendersi cura.
Con alcuni controcanti. L’olmo ad esempio. Potente. O le creste delle sterlizie. La natura, insomma. Le descrizioni della natura sono la parte più bella del libro. L’olmo o i pini sono personaggi. Pensano e agiscono come gli uomini. O gli uomini come le piante. Alleati o combattenti ignari, non sai.
Le case subiscono il tempo. Sulla copertina una casa che pure conserva le tracce di una nobiltà antica per metà è intrico possente di radici centenarie. Una specie di abdicazione alla natura. Una resa. Così è il destino degli edifici e dei paesi. Farsi sommergere dalla malerba. Perire. È solo questione di tempo.
Nella contraddizione perenne tra la tentazione di cedere all’abbandono o la forza di elevarsi si snoda la processione degli eventi. Alla fine vince come sempre una inspiegabile e inaspettata BELLEZZA