Sono andato a salutare Riccardo. Il primo maggio è il suo compleanno. Ha una bella età l’uomo seduto sul divano [disegnato per Playline nel1993] con una trapuntina colorata sulle gambe, tipo patchwork. I fogli e le penne immancabili di fianco. Gioca con le parole: sto dis-cretinamente…dis-creativamente, cose così. Poi decidiamo di uscire. E uno sottobraccio all’altro andiamo. Facciamo la scorciatoia, dice. E così ripercorriamo la stradina dove anni fa lo accompagnai a prendersi cura di un muro sbrecciato con l’idea di trasformare le pietre crollate in una fioriera [Domus n°941, dicembre 2010]. Non c’è più niente. La giornata è infida. Si solleva un vento freddo che smuove le foglie dei platani e fa stringere gli occhi. Il cielo si rabbuia e il mare difronte ingrigisce. Luccica soltanto un cargo a mezza costa con i suoi container accatastati come una torre. Stiamo andando allo studio. Ma non ha le chiavi. A metà strada se ne accorge. Ho un sottile senso di colpa, speriamo che non piova. Non ha preso neanche il soprabito. Allora armeggia con il cellulare. Qualcuno ci aprirà. Ho imparato che con lui una soluzione c’è sempre [sono diventato un po’ bislacco, dice sorridendo]. Come se le cose avessero da sé un disegno, tutto sta ad assecondarlo. Se prima lo disveli. È quello che fa Riccardo con le sue opere. Sgorgano [una parola sua] e il progetto non è a monte dell’idea ma nello sbocco concreto che questo flusso di sentimento raggiunge. Con una quota di distacco, roba necessaria per non farsi trascinare. Come fa chiunque voglia stare di fronte alla realtà. I poeti ad esempio. Vedi la storia delle chiavi.
Allo studio mi regala l’ultimo libro. Questo è importante: copertina rigida, formato 35×30, belle immagini, testi di Achille Bonito Oliva, Marco Meneguzzo e Vera Agosti. È una raccolta infinitesimale di tutto quello che produce furiosamente. Ma nessuno che voglia documentare il suo lavoro può stargli dietro. Quello che più mi colpisce è questo: Riccardo ha fatto un’infinità di libri ma ogni volta sembra emozionarsi. Con una vena civettuola di incredulità per quello che riesce a fare. E poi sono sempre libri belli.
Torniamo. Con un ombrello di fortuna. E mentre il cielo dopo aver buttato giù una corona di goccioloni si schiarisce con quella tipica luce argentata che filtra dalle nuvole bianchissime dopo e oltre il brutto, mi viene in mente David Foster Wallace. Uno agli antipodi. Prima di uccidersi aveva detto che una strada [verso cosa?] poteva essere prendersi cura degli anziani. Ma ho la chiara sensazione che sia io, con il mio divorante bisogno di rintracciare il senso [senza quasi mai riuscire], ad appoggiarmi alla sua splendida vecchiaia.
Riccardo Dalisi, CHE? Giampaolo Prearo Editore, Milano 216