Città in fiamme è un librone di mille pagine. La lettura è faticosa. La storia non si sviluppa mai in maniera semplice e lineare. È difficile da seguire e riannodare. Le parole non scorrono mai fluide. Perché ogni pagina è densa, lo è ogni frase, ogni dialogo, ogni descrizione. I personaggi hanno nomi bellissimi e difficili. Come difficile è inquadrarne la personalità e riconoscerne i tratti nello svolgimento delle vicende. 94 capitoli e una serie di interludi che hanno grafiche diverse. Deviazioni che rendono tutto più complicato. Ma tutto questo è la grande qualità del libro.
Siamo a New York nel 1977. Ci sono punk ed eroinomani. Artisti e musicisti. Omosessuali bianchi e ricchissimi e neri. Innamorati. Uomini d’affari affilati come i denti di uno squalo. E giovani che rinunciano a fortune familiari incredibili. E uno che fabbrica fuochi d’artificio. E poi una bellissima figura di reporter ed una ancora più bella di detective. Larry Pulaski è zoppo. Pieno di umanità. Intelligente. Quasi in pensione. Non c’è che dire, un poliziotto atipico.
Siamo nel 1977, in una data e ora precise. 13 luglio, ore 21,30. Quando New York viene colpita da un blackout che dura 24 ore. Succede di tutto. Incendi. Omicidi. Rapine. In questo scenario i protagonisti intrecciano le proprie esistenze. Nessuno lo sa, ma stanno vivendo un’unica irripetibile storia di amore e tradimento, crimine e arte.
Alla fine Garth Risk Hallberg racconta un altro blackout. Di tipo esistenziale. E questo è bello.