Kent Haruf è uno scrittore sublime. Non mi viene un aggettivo più celebrativo. Crepuscolo è il terzo libro della Trilogia della Pianura pubblicata in Italia in ordine sparso. Ma non importa. Ritornano certi personaggi e altri sono nuovi. Tutto si svolge a Holt in Colorado. La contea di Holt non esiste geograficamente ma come Yoknapatawpha (William Faulkner) o Gilead (Marilynne Robinson) è un luogo più reale dei territori che abitiamo quotidianamente. Sono luoghi emblematici intessuti di passioni vicende sentimenti. Tutto il campionario dei sentimenti, l’amore e il dolore. I personaggi di Kent Haruf si muovono nelle praterie di Holt con pudore. Parlano con pudore. Sommessamente. Per non disturbare. Seguono un’unica rotta: quello che sentono nel cuore. Verso la propria intoccabile dignità e verso l’altro quando si apra uno spiraglio di relazione. Persino un uomo violento come Hoyt Raines non ha doppi. È così e basta.
E poi ci sono i fratelli McPheron. La voce lieve di Kent Haruf tratteggia due giganti del sentimento vero. Solido. Quello che si manifesta senza salamelecchi e con le parole povere e i gesti timidi di uomini abituati ad attraversare campi e pascoli con l’unica compagnia degli animali. Ma poi uno dei due viene ucciso proprio da uno dei suoi tori. Sono pagine indimenticabili. Dolore e tenerezza insieme. Qualcosa che ricorda Eurialo e Niso o pagine altrettanto intense di Cormac McCarthy (John Grady Cole e Billy Parnham in Città della Pianura). Ma un legame così stretto neanche la morte riesce a spezzarlo. Così Raymond porta l’eco del suo rapporto con il fratello nella vita. È come se guardasse con gli occhi e l’anima del fratello il mondo in modo rinnovato. Tanto che si può aprire persino all’inconcepibile. Un amore per una donna. Una cosa delicata. Profonda. Commovente.
Un libro e tre libri (Benedizione, Canto della pianura e Crepuscolo) indimenticabili.