Sul numero 310 di POESIA c’è un saggio di Martino Marazzi sul progetto di Giuseppe Terragni e Pietro Lingeri per il tempio a Dante mai realizzato. Martino Marazzi NON è architetto. Il suo saggio perciò è storia di intenzioni, tentativi, contatti, relazioni. E fallimenti. E assonanze. Gli slanci utopici e la fede nell’architettura da una parte e tutti gli ostacoli dall’altra. Ma Terragni morirà a trentanove anni a Como, per strada. Mentre Lingeri continuerà a lavorare altrove con qualità passando per un’epurazione e una riabilitazione. Inoltre il saggio sa porre in primo piano la figura dello sponsor Rino Valdemari, direttore di Brera, morto poche settimane prima di Terragni in circostanze oscure. Pure la moglie Amelia morirà al campo di Ravensbrück. Dove pare condivise con poche sopravvissute la frequentazione con la poesia dantesca. A proposito, Primo Levi racconta con i suoi modi sommessi come nella tragedia la poesia dantesca [il canto di Ulisse] fosse una specie di centro di resistenza. Un modo di conservare una dignità umana e una identità.
Mi viene in mente un racconto di Nathan Englander, “il ventisettesimo uomo” [il libro è: “Per alleviare insopportabili impulsi”] dove ventisei scrittori ebrei vengono condannati a morte direttamente da Stalin. A essi si aggiunge un ventisettesimo [per sbaglio: Pinchas scrive tutti i giorni ma non ha mai pubblicato niente] e vengono rinchiusi in una stanza-prigione dove attendono per una notte la propria esecuzione. Ma Pinchas non può fare a meno di scrivere. Non ha penna né carta e allora manda a memoria i paragrafi che compone nella mente. Mentre tutti gli altri parlano della propria sorte. Lui neanche li sente. E all’alba recita il suo racconto. Che piace moltissimo. In punto di morte si sarà trasformato in un grande scrittore. Quasi ne sarà valsa la pena.
Grazie a Marazzi sono in un mondo di rimandi. Come quello costruito da Dante. E il progetto di Terragni e Lingeri, nel saggio non è mai detto, è un progetto affascinante. Si tratta di un monumento. Prima ancora i monumenti ai caduti della prima guerra mondiale a Erba-Incino e al solo caduto Roberto Sarfatti sul Col d’Echele [entrambi di Terragni] contengono le tracce della stessa poetica. I rimandi ai simboli della Divina Commedia sono chiari, il numero 3, il numero 9, il quadrato e il cerchio e altro. Ma non è questo. Per me è la straordinaria MODERNITÀ il vero valore. Tutta nelle articolazioni dello spazio. Nei materiali. Nei ritmi delle strutture. Nelle relazioni tra il dentro e il fuori. La terra e il cielo. E la città. Una sorta di prefigurazione delle cose di Le Corbusier, Aalto e persino Kahn. Mi sembra che basti.