(il mio intervento al seminario “etica del progetto” organizzato dall’ordine degli architetti di caserta al belvedere di San Leucio il 5 febbraio 2015)
Etica del progetto o etica di progetto. Non mi ricordo bene quale è tra i due il tema corretto.
Ma parto proprio da ciò.
Etica del progetto mette al centro del ragionamento il progetto. Che dovrà contenere al suo interno una cifra etica.
Etica di progetto viceversa mette al centro l’etica. È l’etica stessa il progetto. O meglio: occorre progettare etica. Così ci salviamo.
Preferisco etica di progetto. Mi sembra più impegnativo e quindi più incisivo. Una cosa più radicale può ribaltare le regole del gioco. E poi mi sta a cuore la salvezza.
Posso fare esempi. Ma tralascio l’architettura. Da altri linguaggi si impara di più.
William Faulkner racconta i suoi personaggi attraverso la parola cardine della endurance. Sono personaggi neri per cui l’endurance ha un altro significato rispetto alla mente bianca. Per questi ultimi la resistenza coincide con lo scontro. Mentre nel caso specifico si tratta di un modo di essere. Si tratta di opporre ad una forza che investe e trascina una presenza. Una testimonianza direi. Nella presenza converge il portato culturale dell’individuo. Nel nostro caso (architetti) si nutre della potenza della prefigurazione. E la prefigurazione si conforma attingendo alla mitologia personale intrecciata di esperienze, letture, scritture. Questo è il progetto.
Non è etica questa?
E se guardo alla natura trovo la stessa postura. Un piccolo albero resiste alle raffiche di vento. E lo fa in silenzio. Misurando lo sforzo. Superando il limite. E soprattutto senza sbraitare. È il suo destino. Compreso ogni perdita. Foglie strappate. Rami spezzati. Ferite. Ma tutti sanno (anche gli uomini) che da ogni mancanza si può ripartire.
Un’etica, infine
.