Nic Pizzolatto è l’autore di True Detective. Sono arrivato a Galveston (Oscar Mondadori, 2010) dopo aver visto la serie in televisione. Bellissima. Una storia durissima lunga venti anni e attraversata dai due protagonisti che si trasformano. Nel fisico e nei pensieri.
Anche la storia di Galveston dura venti anni. A un certo punto Roy Cady dice: “Te lo devi ripetere. Il passato non esiste. È solo una di quelle idee che ti vengono che pensi siano vere. Ma non esiste, piccola. Comincia tutto adesso.” È lo spirito americano che sempre mi affascina. Quello della frontiera. Non c’è spazio per recriminare. C’è un futuro da aggredire. Però le cose ritornano. Non ci si libera mai. Sarà una ennesima ripartenza.
I paesaggi di True Detective e di Galveston sono gli stessi. La Louisiana paludosa. Spazi martellanti come una colonna sonora. Alberi spogli come ossa conficcate nel suolo. Strade che si allungano sui margini di acquitrini melmosi. Disperati e cani spelacchiati accucciati ai piedi dei pali della luce. Su tutto ciò che vive a Galveston incombe la minaccia dell’uragano Ike che rende livido ogni colore. E poi l’oceano.
Un paesaggio con cui negoziare ogni sviluppo del destino.
Quello che mi piace è il tono malinconico. Antieroico. Alla fine questa storia nerissima e spietata rivela un’umanità poderosa. Roy Cady ha il cancro. Sa che deve morire. Una grande occasione per dare una senso alle proprie ultime scelte. Fino ad un barlume di speranza in coda. Siamo nella linea di Faulkner e Cormac Mc Carthy. Roba seria.
Scrivo queste note in treno. Dopo Roma la pioggia furiosa dei giorni passati ha ricoperto la campagna di acquitrini. Dal pelo dell’acqua sorgono tronchi di alberi spogli. A Galveston fanno pensare a “costolette mangiucchiate e infilzate nel terreno”.