A pag.185 parlando dei disegni di William Kentridge dove è sempre presente la traccia del disegno precedente il protagonista (che poi è lo stesso Enrique Vila-Matas) immagina che l’artista dica: “non voglio nascondere che questo disegno è stato preceduto da molti altri e deriva da loro”.
Mi sembra la chiave di lettura di Kassel non invita alla logica. Un libro pieno di citazioni. Da ogni linguaggio: narrativa, poesia, cinema, pittura, scultura. E dalla propria esistenza. Messe in moto da un mi ricordo o mi viene in mente o pensavo…quello che capita a ognuno di noi, in pratica. E allora l’uomo si muove tra le opere di Documenta (la famosa mostra d’arte che si tiene a Kassel, città dei fratelli Grimm) trasformandosi egli stesso in un’opera d’arte vivente. Ed è come un viaggiatore solitario che scopre nuovi punti di vista, suggestioni forti e imprevedibili, ragioni perdute della propria esistenza e della propria vocazione di scrittore. Solitario, ma non troppo. Dove le metti tutte queste citazioni? Altro non sono che il proprio mondo. Quello selezionato che vale la pena di condividere. L’unico che non ti lascia mai. E che il contatto con l’arte riporta a galla. Senza neanche tanta fatica, diciamo.
Un libro denso. Colto. Anzi coltissimo (Vila-Matas è un erudito). Raffinato. Con una punta di umorismo che si solleva qua e là. Raramente accade: le citazioni non infastidiscono.
Infine, due cose. Sentivo un’intervista e Gabriele Romagnoli che invitava a partire portando con sè solo un bagaglio a mano. Metaforicamente, diceva, l’uomo si alleggerisce solo quando riesca a liberarsi delle aspettative, le nostalgie, i rimpianti stessi e cose così. Il contrario di quello che fa Vila-Matas. Io personalmente sono dalla parte del catalano. Insomma, non rinuncerei mai a tutto il mondo laterale che ci accompagna. Pesante che sia.
E poi, nella stazione di Toledo a Napoli ci sono diverse cose di Kentridge. Sono andato a cercare il filo tra le tessere dei mosaici. Da segno nasce segno. Proprio come le azioni, direi.