La 25a ora è un film di Spike Lee e un romanzo di David Benioff. Nell’ordine in cui li ho intercettati. In genere vedo film tratti da libri (e quasi sempre mi sembrano deludenti). In questo caso il film è bellissimo, me lo ricordo. E ho letto il libro molti anni dopo averlo visto. Altrettanto bello. Una scrittura coinvolgente. Personaggi potenti. Anche nella meschinità. Hanno le facce di un grande Edward Norton e di un immenso Philip Seymour Hoffman. E nessuna illusione.
La storia mi era ed è nota. Per questo ho colto due cose collaterali.
Uno, che è un libro sull’amicizia. Oh, un sentimento molto umano. Per questo fallace. Imperfetto. Piccolo. Come l’amore. Si pensa in grande ma nella realtà non è mai così totalizzante. Che ti viene da dire: tutto qua? I tre amici sono attraversati da solchi di rancore. Di inquietudine. Di frustrazioni. Per tutti è una cosa inespressa. Tanto che alla fine mi sembra che il più “amico” sia Frank Slattery. Il più cinico. Quello che mangia con le mani. Ed è lui che rompe il muso al dannato Monty.
Due, che è un libro sulla città. New York osservata ed amata da punti di vista insoliti. Il Queens al di là del fiume prima dell’alba. Con le antenne che luccicano, l’insegna della Pepsi, le ciminiere, i fari e i rimorchiatori. Poi i ponti. Ovunque c’è l’Hudson con i suoi riflessi e la sua malinconia. L’umanità è un venditore di giornali seduto sulla cesta delle bottiglie del latte. Un agente di polizia con le mani in tasca. Un bambino con il berretto bianco. Una portoricana e un vecchio. Non c’è altro a ben guardare.
I tre protagonisti sono tutto sommato morti.