Ci sono avvenimenti e immagini in questo libro di Emiliano Poddi che sono divenute icone. Miti, insomma. Per quelli della mia generazione (ma ogni generazione ha i suoi). La finale di basket alle Olimpiadi di Monaco del 72 vinta dall’URSS sugli USA (che non avevano mai perso una partita) dopo che gli ultimi tre secondi furono ripetuti tre volte è il centro del racconto. I protagonisti sono i due eroi della partita. L’americano Kevin Joyce che scuote la giovane squadra americana e avvia la rimonta fino al sorpasso. Il russo Sasha Belov che gioca male per tutta la partita ma poi segna il canestro dell’ultimo secondo. Ma è proprio Kevin che marca il russo e finisce fuori campo senza impedirgli il tiro. Fuori campo e fuori da tutto. Ma questi tre secondi ripetuti e ripetuti (fino a che l’URSS non vincerà, geopolitica o semplicemente confusione non è chiaro) sono la metafora di un tempo che dura tutta la vita. Il russo farà una brutta fine e l’americano si salva ma lontano dal basket. Come a dire che il frenetico alternarsi dei vincitori e vinti rende ogni vittoria imperfetta e troppo pesante da sopportare.
Intorno altri fatti. La strage degli atleti israeliani al villaggio olimpico per mano di Settembre Nero. La sfida tra Bobby Fischer e Boris Spassky. Un epoca. Un mondo che non esiste più. Contrapposto e minaccioso. Con tutte le macerie posate sulle spalle di due giovani numeri 14. Ma nessuno vuole essere simbolo di nulla. Una cosa che vale per tutti. E per ogni storia. La partita memorabile e infinita riguarda tutti.