Lo scultore è un graphic novel di Scott McCloud.
Il protagonista della storia vende l’anima alla morte per diventare scultore. Non è ben chiaro se abbia un vero talento. Ma lotta con tutte le sue forze per realizzare la sua passione. Poi si innamora e la storia diventa storia di amore e dolore. Distacco e forse rinascita. È una sequenza complicata. Con un finale a sorpresa. È la storia di ognuno di noi.
Mi piace come viene rappresentata la città. New York, con i suoi edifici e le sue strade. Le strade in primo piano, con i lampioni, le macchine, gli asfalti, le strisce pedonali. La neve e la pioggia. E gli alberi di Central Park. Con la gente. Le facce della gente. Che parlano di sensazioni e sentimenti. L’autore si mette in disparte e celebra la più bella città del mondo dagli occhi dell’uomo della strada. Dice l’autore: “…avevo questa idea di fare fumetti per cambiare i fumetti”.
I disegni, bellissimi, raccontano una storia che non molla mai la presa. E l’assenza di giudizio (che è una forza di quella città e cultura). Un costante fondo di grigio-azzurro. I tratti dei volti ai limiti del realismo (io preferisco i disegni verosimili, Tex Willer, Diabolik…). Le parole della storia avvincenti. Questo è il punto, mi pare. Rispetto alla narrativa i disegni fanno quello che tocca alle parole. Sono le espressioni dei volti. I gesti. Le posture che raccontano quello che i dialoghi da soli non riescono a dire (se non sei Cormac McCarthy beninteso). E ci riescono.
Infine scopro che il graphic novel va di moda. Ed io che pensavo di avere un nuovo interesse. È nell’aria. Ho l’impressione che da qualche parte si orientano i nostri interessi. Non so, in maniera sottile, subliminale, anche quando sembrino autonomi.