Ho letto due libri per ragazzi. “Capitani coraggiosi” di Rudyard Kipling [1897] e “Zanna Bianca” di Jack London [1906]. Due grandi scrittori. E due libri che non avevo mai letto. Ma non è questo il punto. È il potere evocativo dell’infanzia che mi ha attraversato nella lettura. E il significato che queste due storie hanno avuto. “Capitani coraggiosi” per me è stato sempre il film con Specer Tracy. Anzi. La scena in cui Manuel sta morendo con mezzo corpo incastrato sotto gli alberi della nave [vado a memoria]. E il giovane Harvey contemporaneamente sta diventando uomo. Una specie di passaggio di consegne. Mi ricordo precisa la commozione. Ho letto il libro per arrivare a questo climax. Che non c’è. Nel libro non c’è nessun Manuel che muore. Tanto che ho dubitato persino che ci fosse nel film. O che fosse un altro film. “Zanna bianca” invece era l’eroe dei ragazzini di strada che mi attiravano e da cui al tempo stesso mi sentivo distante. O meglio: l’educazione dei miei genitori mi faceva sentire che erano altro da me. Io leggevo Jules Verne. Altra cosa rispetto ai combattimenti feroci tra i cani ignari e il lupo-cane che li braccava e sgozzava. Zanna Bianca nasce nel Wind ed è figlio di un lupo e di un cane. Basta seguire il proprio codice genetico. Che poi ragazzini di strada sta per gente più avvezza al pallone e a qualche parolaccia. A leggerlo ora Zanna Bianca è un archetipo. E come Harvey attraversa violenza e crudeltà. Dolore e durezza. Per formarsi. E anche un sottile filo di amore. Ci sono gli uomini visti dal lupo. E ci sono i lupi e i cani. Ogni mondo con i suoi sentimenti. I propri codici e linguaggi. E i propri pensieri. Che registrano avanzamenti e cadute. A leggerlo ora rivedo questi ragazzi che giocano a pallone mentre i lampioni si accendono e assorbono piano piano gli avanzi della luce del giorno. Le mamme con i grembiuli a fiorami preparano le cene e i ragazzi andranno a mettere i polsi sotto l’acqua della fontanella per bloccare il sudore. E mi sembra che poco distante un cane scodinzoli.