PASQUALE BELFIORE parla di OPERE E OMISSIONI su NAPOLI NOBILISSIMA

 

napoli nobilissima

 

Era prevedibile (e forse anche auspicabile) che Davide Vargas prima o poi pubblicasse un libro che somigliasse più a un ipertesto che a un testo tradizionale. Troppe cose e dissimili tra loro gli si agitano dentro, per trovare provvisoria e parziale sintesi nella sola parola narrata o nel verso d’una poesia o in un disegno o in una fotografia o in un progetto. Ha deciso allora, provvidenzialmente, di non scegliere e in questo libro verifica la possibilità di far convivere insieme tutti i linguaggi del suo personale universo comunicativo. Libro sperimentale dunque, una sorta di ipertesto si diceva, e come tale richiede una particolare complicità da parte del lettore per condividere la labirintica erranza dell’autore tra segni, disegni, parole e immagini. Al recensore, spetta il compito di dipanare solo in parte questo sapiente e ben studiato groviglio per non privare il lettore del piacere del testo, con tutte le doverose, personali e opinabili scelte di gusto e idiosincrasie qui presenti e che mai Roland Barthes consentirebbe di eliminare.
L’autore e la struttura del libro. Sessant’anni il prossimo anno, nato a Aversa, città di confine tra le due ex capitali Napoli e Caserta. Personalità di confine tra arte e professione, molti edifici costruiti all’attivo, mostre di disegni, libri di racconti, di poesie, di architetti intervistati, libri di architetture fatte e viste. Rigoroso, nitido, incline al classico nel progetto, razionalista insomma, e di tempra italiana indulgente anche alla deroga programmata, non quella tedesca intransigente alla Hilberseimer. Sincretico, flessibile, problematico, prosa talvolta modernamente crepuscolare nei racconti, ma cita volentieri l’ostico John Fante, pensiero debole insomma, in ambito artistico-letterario. Progetto di architettura e sensibilità artistica non devono cercare inutili pacificazioni, possono convivere meglio se separati l’uno accanto all’altro. Vargas disegna quasi ossessivamente alberi e parla di radicamento al suolo delle architetture, ma nei suoi edifici viene sempre sottolineato il confine tra natura e artificio. Casa F a Liberi come paradigma.
Nel segno della contraddizione si apre questo suo settimo libro. Veste editoriale molto ben curata. Sembra il prodotto d’un raffinato artigiano del libro. Lo è, ma è anche il risultato d’un abile maneggio dei programmi informatici. Sei capitoli, quattro titoli espliciti (paesaggio, città, abitare, altri tasselli di un percorso), due d’acchito più criptici (qui, io), ma poi si capisce che qui è parola ricorrente in Vargas, a partire dalla raccolta Racconti di qui del 2009 per Pironti. Per il titolo – che al lettore avanti negli anni ricorda la definizione di peccato della dottrina cattolica secondo cui si può peccare in pensieri, parole, opere e omissioni – opere è espressione onnicomprensiva del contenuto mentre per omissioni occorre andare a p.194 per leggere la definizione di “cose che mancano alla realtà” e che perciò attendono progetti e scritture per trasformarle in occasioni. In ogni capitolo, ci sono illustrazioni di progetti, brevi testi descrittivi, inserti di prosa letteraria, citazioni, copertine e note di precedenti libri, disegni tecnici, collage, appunti trascritti da taccuini, fotografie in gran numero e tutte d’ottima fattura, soprattutto schizzi che anticipano l’anima dei luoghi. Non ci sono cronologie, tipologie o collocazioni geografiche a ordinare i materiali nei singoli capitoli, non c’è introduzione che ne spieghi le scelte. Laddove si intravede omogeneità e coerenza, c’è poi l’elemento dissonante che rimischia le carte. Le case sono ovunque, non solo nel capitolo dell’abitare ove invece si ospita un edificio per uffici. L’io suggerisce un ripiegamento intimista con un monumento funerario e una stanza del proprio studio professionale, ma segue il progetto d’una pensilina e la coerenza s’incrina. Tutto comincia con la Casa a righe a Aversa del 2000 e si chiude con un Asilo autocostruito a Laviano del 1981, quando Vargas era ancora a bottega da Riccardo Dalisi. Nel mezzo, “trenta anni di lavoro, una roba a tu per tu”, per citare l’icastica epigrafe del libro, solo in leggero sospetto di tic linguistico oggi corrente. Ogni capitolo come una stanza stracolma di cose eterogenee, camere delle meraviglie se si vuole, camere della memoria che non sceglie ma tutto conserva perché l’accumulo è ricchezza cui attingere a piene mani, la selezione impoverisce. Libro barocco per esuberanza e turgore della materia.
Un ipertesto non si legge ma si naviga, dice il vocabolario informatico. Parola di certo gradita a chi parla, anche con ossimori, di case come zattere che compiono un “viaggio immobile”. La navigazione mette nel conto derive e naufragi che sono prospettive persino desiderabili per sensibilità postmoderniste come quelle di Vargas. Occorrenze da evitare invece per più concreti spiriti nuovo-realisti alla Ferraris. Questo libro non è per loro.
PASQUALE BELFIORE

 

D. VARGAS, Opere e Omissioni, Works and Omissions, LetteraVentidue, Siracusa 2014, pp.264, figg.

opere e omissioni

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