Willie Sutton era un rapinatore di banche. Lo faceva senza sparare un colpo e tra il 1925 e il 1950 svuotò un centinaio di banche e scappò da diversi penitenziari. La sua era una specie di lotta al sistema, come un eroe popolare che agisce in pieno giorno e non fa mai male a nessuno. Poi fu preso un’ultima volta e rinchiuso a Sing Sing. Dove sarebbe morto se alla vigilia di Natale del 1969 non fosse stato graziato perché molto malato. In fin di vita. Ma fu la sua ultima evasione. Visse ancora una decina di anni tra i libri che avevano arredato le sue celle e accompagnato la sua vita. Libri seri, da Proust a gente del suo calibro.
Una vita così andava raccontata. Lo fa J.R. Moehringer in “Pieno giorno”. E siccome Moehringer è bravissimo la biografia diventa un romanzo con tante storie dentro. In un solo giorno, pensando di dover morire a breve, Willie l’Attore con un giornalista e un fotografo ripercorre la sua vita ritornando sui luoghi che ne hanno determinato le tappe. Ed è quindi una storia di formazione. Di svolte, scelte o subite. Di povertà. Di riscatto. Di ribellione. Di audacia. E di tenacia. Di libertà, cercata e negata. E di amore. Per una donna che sarà nel suo cuore per tutta la vita. L’amore per Sutton è all’origine del suo percorso. E non lo rinnega mai. Ed è anche la storia di una giornata. Di un rapporto che si costruisce con Giornalista e Fotografo (si chiamano così nel libro). Di memorie che restano incistate nei luoghi. E delle trasformazioni che la città registra sui posti dove cerchi dopo tanti anni qualche risposta. A cose che hai accettato come parte del tuo destino e ad altre che vorresti cancellare.
Storie tutte vere. O forse no. Qua e là si insinua persino questo dubbio. E nell’incertezza la vicende si dispiega ancora più VERA.